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L’ADHD: tra neurodivergenza ed esperienze traumatiche

L’ADHD, Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, è caratterizzato da sintomi legati alla difficoltà nel regolare attenzione e comportamenti in base al tempo, agli obiettivi e agli stimoli interni o esterni.

Attualmente, l’ADHD può essere considerato una forma di neurodivergenzaovvero una condizione che si riferisce a uno sviluppo neurologico diverso, che porta ad avere una percezione della realtà e un apprendimento qualitativamente differenti dalla media. Questo può rappresentare una risorsa, purché gestito adeguatamente dal contesto sociale. Ad esempio, gli adolescenti con ADHD possono mostrare un hyperfocus attentivo intenso su argomenti che li appassionano, in cui ottengono risultati eccellenti.

La diagnosi dell’ADHD richiede, tuttavia, una valutazione completa per determinare se i sintomi siano effettivamente attribuibili a questa condizione o ad altri possibili fattori: ambientali o traumatici.

 

L’ADHD secondo la prospettiva del trauma e dell’attaccamento

I bambini che sperimentano un trauma importante, che ha messo a rischio la loro incolumità o quella di persone a loro vicine, così come i bambini che vivono in un ambiente con figure di attaccamento maltrattanti possono sviluppare risposte di difesa di fronte a stimoli per altri neutri, poiché li associano a minaccia, alla luce di esperienze passate in cui il passaggio dalla sicurezza al pericolo era repentino; di conseguenza, possono apparire costantemente iper-vigili nell’osservare l’ambiente alla ricerca di segnali d’allarme.

L’iperarousal e la conseguente difficoltà nel concentrarsi, associati alle strategie di difesa dalla minaccia (come l’immobilizzazione, l’attacco o la fuga), possono essere clinicamente indistinguibili dalla disattenzione e dall’iperattività osservate nell’ADHD, ma sono più evidenti nelle situazioni che richiamano gli eventi traumatici pregressi, attivando il sistema di difesa e/o di attaccamento. Le ricerche condotte fino ad oggi evidenziano correlazioni tra i sintomi ADHD, lo stile di attaccamento, gli eventi traumatici, le esperienze infantili avverse (ACEs) e i sintomi dissociativi.

L’auto-regolazione emotiva è fondamentale per uno sviluppo cognitivo sano ed è influenzata dalla capacità del caregiver di regolare le emozioni intense del bambino. Quando il genitore si sintonizza con i bisogni del figlio e riesce ad affrontare gli errori nella relazione, si parla di “attaccamento sicuro”. In questa condizione, il bambino può contare sul genitore per trovare calma e sicurezza, è libero di apprendere, socializzare ed esplorare il mondo. Quando il caregiver non riesce asintonizzarsi con i suoi bisogni e a riparare agli errori commessi nella relazione, i sintomi ADHD possono essere considerati come la conseguenza delle strategie utilizzate dal bambino per regolare la connessione con lui.

Nella diade insicura-evitante, il genitore non si prende cura delle emozioni del figlio e lo spinge a “distogliersi” da esse attraverso l’esplorazione dell’ambiente o delle proprie abilità. Il bambino devia l’attenzione da sé al mondo circostante. Nella diade insicura-ambivalente, il genitore può reagire in modo rabbioso o non riconoscere gli stati interni del bambino, “distraendolo” con i propri bisogni. Il bambino devia l’attenzione da sé al caregiver e non impara a gestire le emozioni intense. Nel caso della disorganizzazione dell’attaccamento, il genitore potrebbe risperimentare i propri traumi irrisolti, spaventando ulteriormente il figlio o lasciandolo solo e vulnerabile rispetto agli eventi esterni. Il caregiver incute timore anziché protezione e il bambino si disorienta, rispondendo caoticamente agli stimoli ambientali.

 

ADHD nelle diverse fasi di sviluppo

Nei bambini da 1 a 3 anni le manifestazioni possono essere variegate: iperattività motoria; irritabilità; alta frustrabilità e pianto inconsolabile; disturbi della regolazione fisiologica (sonno e alimentazione); scarsa sensibilità alle ricompense; impulsività; risposte imprevedibili e aggressive alle regole; limitato adattamento sociale; possibile ritardo di linguaggio o psicomotorio e segni neurologici minori.

In età prescolare, prevale l’iperattività, alla quale può associarsi il disturbo oppositivo-provocatorio. In età scolare, prevale la disattenzione. Alcuni dei sintomi più comuni includono:difficoltà di pianificazione delle attività in funzione del tempo (time blindness); tendenza ad annoiarsi; comportamenti impulsivi e dirompenti; mancato rispetto delle regole; scarsa autostima; difficoltà nelle relazioni; possibili disturbi di apprendimento e comportamento.

In adolescenza, l’iperattività motoria viene sostituita da un’irrequietezza interiore e permane la disattenzione, apparendo a volte come un rallentamento cognitivo. Per giornate intere, questi ragazzi possono ritirarsi dalla routine quotidiana senza far nulla, per “ricaricarsi”. Hanno difficoltà a considerare i loro comportamenti inappropriati, arrivando così a conflitti e reazioni estreme.Possono sentirsi soli, incompresi e senza supporto. Possono dare molta importanza alla propria immagine esteriore, ma tendono a sottovalutarsi.

Cercheranno relazioni intense ma complicate e potrebbero sviluppare dipendenza da coloro che ammirano, vivendo tutto in modo estremo. Le aspettative personali spesso sono troppo alte e la difficoltà nell’autoregolazione diventa evidente, per cui possono associarsi ansia, disturbi dell’umore e del comportamento. È più elevato il rischio di utilizzo di sostanze per sentirsi a proprio agio con gli altri o per provare nuove sensazioni.

 

La psicoterapia con bambini e adolescenti con sintomi ADHD

La psicoterapia con bambini e adolescenti con sintomi ADHD può essere stimolante, ma anche piena di sfide, come la difficoltà a mantenere l’attenzione, l’irritabilità, l’impulsività, la difficoltà nella regolazione emotiva, la resistenza al coinvolgimento nel percorso. Per lavorare efficacemente,potrebbe essere importante integrare l’approccio terapeutico con alcuni suggerimenti utili:strutturare il setting; fornire un elenco delle attività pianificate; utilizzare tecniche di coinvolgimento attivo e comunicare in modo chiaro; promuovere abilità sociali; coinvolgere i genitori; stabilire una comunicazione aperta con le altre figure che sono impegnate ad aiutare il bambino sotto diversi aspetti (didattico, medico, abilitativo, educativo).

È fondamentale, inoltre, creare una relazione di fiducia e stabilire un rapporto empatico e cooperativo fin dalle prime sedute con il giovane paziente e/o con i suoi genitori, in modo che la relazione terapeutica diventi un’esperienza emozionale correttiva. Il terapeuta può esplorare i traumi individuali e/o familiari e può integrare il lavoro terapeutico con l’elaborazione di tali esperienze attraverso il metodo EMDR (Eyes Movement Desensitization and Reprocessing), sia nei casi in cui gli eventi traumatici generino sintomi ADHD-like, sia nei casi in cui gli eventi traumatici siano secondari ai sintomi ADHD (per esempio, giudizi negativi, umiliazioni, punizioni, esclusione da contesti sociali).

In conclusione, ampliare la prospettiva alla dimensione del trauma e della storia di attaccamento è fondamentale per ottenere una migliore comprensione dei meccanismi sottostanti ai sintomi ADHD e orientare al meglio la diagnosi e la presa in carico.

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