Autismo e Disturbo del Comportamento: Facciamo un po’ di Chiarezza
“Gli autistici sono quei bambini e ragazzi che urlano e sbattono la testa contro il muro. Sono aggressivi”.
Ancora troppi stereotipi e credenze ruotano intorno all’autismo, in particolare per quanto riguarda i comportamenti problema e i “challenging behaviour”, comportamenti distruttivi e dirompenti.
E’ importante sapere che il comportamento problema non rientra nella diagnosi di disturbo dello spettro autistico, così come non vi rientrano il disturbo dello sviluppo intellettivo o la plusdotazione.
Quali sono le caratteristiche con cui fare diagnosi di autismo?
Rispetto a quanto avveniva nel DSM IV, che parlava di triade sintomatologica e postulava la diagnosi di autismo sui criteri di:
● compromissione qualitativa dell’interazione sociale,
● compromissione qualitativa della comunicazione (con modalità verbale e non verbale),
● modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati.
Nel DSM 5 abbiamo diversi punti di innovazione:
● la triade si trasforma in diade:
o deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale”;
o pattern di comportamento, interessi o attività ristretti e ripetitivi”.
● l’introduzione di iper o ipo sensorialità agli stimoli;
● l’esordio a partire dalla prima infanzia (eliminando esordio ai 3 anni, presente nel DSM IV);
● l’inserimento dei livelli di supporto di cui necessita la persona;
● esclusione della sindrome di Asperger (ex autismo ad alto funzionamento). Non esistono più i livelli di funzionamento in quanto le caratteristiche autistiche si muovono in un continuum nel quale ogni bambino e persona possiede una propria personalità e individualità.
Se siete interessati ad approfondire i criteri diagnostici scrivetelo nei commenti.
Queste specificazioni risultano importanti per permetterci di comprendere meglio il motivo per il quale alle persone autistiche vengono spesso associati comportamenti di tipo problematico.
Il comportamento problema come risorsa
Parrebbe essere un paradosso considerare il comportamento problema come una risorsa, ma cerchiamo di approfondire insieme di cosa stiamo parlando.
Per comportamenti problema (CP) si intendono tutti quei comportamenti che possono compromettere l’accesso della persona ai contesti comunitari: isolamento, stereotipie, urla, pianti fino ad arrivare a comportamenti altamente distruttivi verso l’ambiente, se stessi e gli altri.
Ma in che modo quindi questi comportamenti possono essere considerati una risorsa? Lo diventano quando impariamo ad aprirci all’altro e a non averne paura, comprendendo che la persona che manifesta questa tipologia di comportamenti sta inviando, più o meno consapevolmente, un messaggio che non sa inviare in altro modo.
Eric Schopler, con la metafora dell’iceberg, ci chiarisce meglio la funzione comunicativa dei comportamenti problema, ai quali sottostanno bisogni specifici (vedi grafico alla fine dell’articolo).
Ecco che possiamo identificare diverse funzioni del comportamento:
● ottenimento di qualcosa di concreto: il bambino ha dei bisogni primari e secondari che non riesce a comunicare (mangiare, bere, caldo, freddo, espletamento dei bisogni);
● ricerca di attenzione: il bambino vuole l’attenzione del care giver o di un amico ma non sa come comunicarlo o come interagire;
● evitamento: il bambino vuole evitare un compito o uno stimolo che per lui è fastidioso o negativo;
● autostimolazione: il bambino necessita di ritrovare un equilibrio fisico o emotivo, ecco che attiva comportamenti di stimming o stereotipie motorie o verbali;
● manifestazione di un malessere fisico o psichico;
● espressione della compresenza di un disturbo psicopatologico (maggiormente osservabile dall’adolescenza in poi).
Dovrebbe ora essere più chiaro come i comportamenti che vengono considerati dalla società come problema diventino una risorsa importante per l’interlocutore, permettendoci di entrare in relazione, sinergia e comprensione con una persona che ha un cervello neurodivergente, non inferiore, ma semplicemente diverso da quello neurotipico; con una connotazione positiva della parola diversità come occasione di crescita, arricchimento e nutrimento.
Come possiamo quindi ridurre i comportamenti-problema?
Imparando a conoscerli, identificarli e aprendoci a comprenderne la funzione. Una volta fatto questo, è importante fornire al bambino delle specifiche modalità per comunicare di cosa ha bisogno e come si sente, guidandolo grazie ad una comunicazione adatta alle sue caratteristiche e funzionamento (es. attraverso la comunicazione aumentativa alternativa e il programma T.E.A.C.C.H) e non imponendo la nostra modalità verbale, che per alcuni può risultare caotica e confusionaria.
“La realtà per una persona autistica è una massa interattiva e confusa di eventi, persone, luoghi, rumori e segnali. Niente sembra avere limiti netti, ordine o significato. (…) La routine, scadenze predeterminate, percorsi e rituali specifici aiutano ad introdurre un ordine in una vita inesorabilmente caotica” – Therese Joliffe Temple Grandin. Thinking in Pictures. New York: Vintage Books; 1995 – traduzione italiana: Pensare in immagini Erickson 2006.
Mi interessa la fase diagnostica
Buonasera Serafina, grazie per lo spunto. Cercheremo di approfondire prossimamente.